Getting Ready! Pillole per l’estero!
“Cosa deve fare un’azienda che intende internazionalizzarsi?”.
Spesso mi viene rivolta questa domanda, durante seminari, conferenze o semplici chiacchierate con gli imprenditori.
La mia risposta è semplice: “Prepararsi!”.
Dietro questo suggerimento, solo in apparenza banale, si nascondono tutta una serie di attività e valutazioni di non poco conto.
Ho vissuto in prima persona l’epoca in cui per fare export si prendeva il catalogo, la valigia, la buona volontà e si partiva.
A distanza di anni posso permettermi di dire che queste cose – purtroppo – non bastano più.
Cosa serve oggi per fare internazionalizzazione?
Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di chiarire cosa significa questo termine.
Può significare vendere o acquistare all’estero.
Nel primo caso si parla di internazionalizzazione attiva, mentre nel secondo di passiva.
Può essere un’attività che non richiede una presenza diretta nel Paese straniero – e in questo caso si parla di internazionalizzazione leggera – oppure può richiedere una presenza anche minima, come un ufficio di rappresentanza, o strutturata, come nel caso di una filiale produttiva e distributiva; in questa ipotesi si parla di internazionalizzazione
profonda.
Molte aziende acquistano all’estero per poi rivendere nel mercato domestico, così come tante non hanno strutture di proprietà in un Paese straniero ma lavorano in decine di mercati oltre frontiera.
Chiarito questo aspetto, cerchiamo di capire in cosa consiste la preparazione che l’azienda moderna deve sostenere per affrontare questo percorso di sviluppo nei mercati internazionali.
Struttura aziendale
L’impresa deve essere strutturalmente pronta ad affrontare l’internazionalizzazione.
Significa che deve avere le conoscenze tecnologiche, la capacità produttiva e la solidità
finanziaria per intraprendere il percorso necessario.
Se da un punto di vista produttivo non può offrire qualcosa di diverso rispetto a ciò che già esiste – anche all’estero – sarà difficile trovare clienti disposti ad acquistare.
Lo stesso per quanto concerne la capacità produttiva: se posso produrre quantità
limitate ed incontro un cliente che mi può saturare la produzione, cosa faccio?
Abbandono i miei clienti attivi per servire questa nuova opportunità?
Da ultimo è importante che l’azienda abbia una solidità finanziaria che le consenta di stanziare una cifra da destinare a viaggi, fiere, cataloghi in lingua, comunicazione in generale. Perché comunque, fare internazionalizzazione costa.
Organizzazione aziendale
Per lavorare con l’estero è necessario avere qualcuno in azienda che parli le lingue straniere – almeno l’inglese – e che conosca le “tecniche del commercio internazionale”.
Queste consistono, in una prima fase, nella conoscenza di argomenti specifici quali i pagamenti internazionali, la contrattualistica, i sistemi di trasporto e doganali.
Se questi aspetti non sono conosciuti all’interno dell’azienda è meglio dedicare del tempo a specifici corsi di formazione, in modo da prepararsi adeguatamente.
Strategia
Verso quale Paese indirizzare le proprie attenzioni? Attraverso chi? Un agente, un importatore, dei distributori? O servire direttamente negozianti e consumatori?
Oppure fornire delle aziende produttrici?
Le domande alle quali rispondere sono tante – qui ne accenniamo solo alcune – ma sono tutte importanti.
Perché è impossibile fare internazionalizzazione se non si hanno le idee chiare, se non si capisce che non si può improvvisare, se non si ha una chiara strategia di ciò che si vuole fare.
Solo una precisazione: trovare clienti all’estero non è una strategia. E’ un obiettivo, che deve essere raggiunto attraverso una strategia.
Gestione delle leve di marketing.
Se ci si vuole internazionalizzare occorre capire e gestire le quattro aree principali di cui
si occupa il marketing:
• Prodotto: il mio prodotto può avere un mercato in uno o più Paesi stranieri? Va bene così com’è oppure lo devo modificare per renderlo compatibile con le esigenze dei clienti? Che caratteristiche costruttive, funzionali, estetiche, creative deve avere? Non tutti i prodotti che vengono realizzati per il mercato domestico
vanno bene e possono essere venduti nei mercati internazionali.
• Prezzo: qual è il giusto prezzo del mio prodotto? Quanti passaggi ci sono fra l’azienda produttrice e l’ultimo acquirente? Se ci sono molti passaggi di intermediazione il prezzo finale potrebbe essere molto alto, addirittura fuori mercato. Non serve a niente dire che abbiamo calcolato il giusto prezzo di vendita franco fabbrica se poi non sappiamo cosa succede dopo a livello di distribuzione.
• Distribuzione: com’è strutturata la distribuzione nel Paese straniero di mio interesse? Ad esempio i mobili per l’arredo bagno negli Stati Uniti sono venduti insieme alle cucine. L’abbigliamento di lusso in Cina viene spesso venduto nelle boutique che si trovano negli hotel. E così via. Ogni Paese ha caratteristiche specifiche per la distribuzione, sia come canali di vendita che come presenza
territoriale (ad esempio nei Paesi Emergenti la distribuzione è concentrata nelle aree urbane).
• Comunicazione: chiunque voglia aprirsi ai mercati internazionali deve far sapere che esiste! Significa quindi avere la possibilità di far capire al potenziale cliente che cosa si offre, le caratteristiche del prodotto, i valori aziendali. Vuol dire avere un company profile, un sito internet, il catalogo e il listino in lingua, per lo meno
Inglese. Significa farsi trovare sul web, nei social network (Facebook, Google+, Pinterest, Instagram, etc.), avere un marchio e un payoff – uno slogan – che possa spiegare meglio cosa fa l’azienda.
Questi sono i primissimi passi da fare se si vuole iniziare ad uscire dal mercato
domestico per approcciare i mercati internazionali.
Nei prossimi appuntamenti vedremo ancora più in dettaglio alcuni di questi aspetti; in particolare il prossimo mese si parlerà dei rischi del commercio internazionale.
© 2013 – Alessandro Barulli
www.alessandrobarulli.com